L’orgoglio del Primiero perché sono “tutti figli del San Martino”. Una motivazione in più per essere protagonisti sulle prove speciali dove Munari cominciò con l’umiltà del navigatore prima di diventare il Drago.
Dal 1964 al 2023 fanno 43 edizioni, quindi c’è stato un buco profondo tra l’ultimo del periodo d’oro (1977, Coppa Fia Conduttori, il mondiale dell’epoca) e il primo della rinascita (1995, internazionale).
Ma il Rallye è l’orgoglio del Primiero perché sono “tutti figli del San Martino”, dal titolo azzeccatissimo del libro che il giornalista Beppe Donazzan scrisse nel 2010 miscelando prosa e lirica per raccontare le gesta dei primi eroi e dei loro epigoni. Chiariamo una cosa, per onestà intellettuale: per “figli” s’intendono i rally del triveneto, Alpi Orientali e Piancavallo, Due Valli e Marca, e loro discendenti e affini. Perché il Sanremo, tanto per citare un altro capostipite, è nato nel 1961, quindi a rigore è il “fratello” più vecchio anche se inizialmente fu Rally dei Fiori. Però nessuno, a memoria di biblioteca, può vantare come il San Martino un Munari in versione navigatore (1964, vittoria al fianco del mitico Arnaldo Cavallari) e in versione Drago, vincitore di ben cinque edizioni con un volante Lancia in mano. Record poi pareggiato da Renato Travaglia, trentino doc e Maxi interprete Clio prima di un tris targato Peugeot e di un sigillo su Mitsubishi Lancer.
Essere “dentro” la storia è un’esperienza che provano tutti quelli che prima o poi hanno l’opportunità di gareggiare a San Martino, una motivazione in più per mostrarsi protagonisti sulle prove speciali che carezzano le cime dolomitiche in un paesaggio da favola.
Immagine d’archivio e Fotosport